AnnaLù e Hammedda: una storia fortissima con un lieto fine meritato e una grande lezione da raccontare a tutti noi.
Chi sei e di chi sei figlia?
Sono Anna Lucia, alcuni amici mi chiamano Nina o Annina per altri ancora sono AnnaLù, nasco a Lecce una cittadina nel cuore del Salento nell’agosto del 1980 . Figlia di Gianna e Pietro e sorella di Leo.
Mio papà Pierino oggi non è più con noi, un dolore questo che sto ancora elaborando, era un uomo forte un gran lavoratore una persona umile e fiera e soprattutto di poche parole. La sua malattia è stata un viaggio velocissimo all’inferno, lui ha combattuto fino all’ultimo istante, la sua forza è riuscita ad impressionare chiunque, gli stessi medici erano increduli, una forza tale non poteva
coesistere con quella diagnosi con i risultati degli stessi esami che palesavano una situazione
sempre più grave e incontrovertibile . Un semidio che affrontava la morte a muso duro, così la mia pelle ricorda quei giorni quegli istanti fino a che non ha preso il sopravvento la nera signora.
Mia mamma Gianna ha un secondo nome, costretta ad utilizzarlo solo per firmare documentazione varia, “Abbondanza”, non lo sopporta quel nome di una sua antenata, il suono che lo costituisce per un nome di persona è effettivamente cacofonico. Io e mia figlia Greta Maria la prendiamo spesso affettuosamente in giro, lei fa finta di arrabbiarsi ma ama giocare, nonostante l’ilarità dei
nostri scherzi ho sempre pensato che il significato di Abbondanza sia bello, caldo accogliente un po’ come lei, una donna molto bella, calorosa ma anche con spigoli duri come il piombo. La mia mamma viene da un paesino dalla Grecia Salentina, una donna combattiva e accudente con i suoi amori grandi con occhi bruni e profondi, ha sempre amato il canto è da un po’ che non canta
più con la stessa leggerezza del cuore. Lei è stata sempre il perno della famiglia la leader indiscussa o indiscutibile…
Io credo di aver accolto in me tanto di loro. Mio padre una persona molto pratica, spicciola con mani grandi e cuore tenero da nascondere ai più, mia mamma invece è una donna introspettiva, iperlogica e scrupolosa…Eh sì, hanno fatto un bel mix, avverto in me molte di queste caratteristiche e poi sento di avere anche un filo che cuce la parte più “antica” di me una sorta di portato
matrilineare, lo chiamerei così, che si traduce spesso nella capacità di sentire l’altro.
Non tutti sono in grado di praticare l’empatia. Mettiamola così, chiamiamola empatia, con una buona dose di idealismo un pizzico di voglia di cambiamento, poesia e rivoluzione… e così una scelta, una grande scelta, mi condusse ad intraprendere un cammino e quindi a decidere in fretta e poi a rinascere ancora e ancora. Ho messo a riposo una parte di me e ho dedicato la mia vita ad un’altra persona e nel mio piccolo alla causa di popolo intero. Ho sacrificato parte della mia vita scegliendone ”semplicemente” un’altra.
L’incontro con Hammedda
Mi occupavo di volontariato e proprio in un progetto di accoglienza di minori stranieri disabili provenienti da campi profughi saharawi c’era un bambino. Un bambino ritenuto dei medici un caso difficile, era sera quando il gruppo di bambini giunsero a Roma in aeroporto, erano circa una ventina, stanchi, sporchi… tra questi uno era bianchissimo rispetto agli altri cuccioli dalla pelle dorata. Nell’attesa di proseguire il viaggio fino alle Marche, i bambini cominciarono a giocare. Il bimbo pallido tutto pelle e ossa e con il pancino gonfio era su una sedia a rotelle completamente sgangherata, un cucciolo d’uomo, Brahim, iniziò a giocare con lui a spingerlo come su una giostra, e quel bambino pallido e denutrito iniziò a ridere, e per la prima volta, in una risata senza fine si udì il suono della sua voce… Ebbe inizio così la rinascita, la mia e quella di qualcuno che mi sarebbe stato molto vicino, con una risata. Dopo qualche giorno per il gruppo di piccoli ospiti provenienti dal deserto, iniziarono i controlli sanitari. I Responsabili ed operatori dell’associazione “Rio de Oro” furono coinvolti d’urgenza dai medici: un bambino andava salvato. Il progetto di accoglienza di cui parlo si chiama “Piccoli ambasciatori di pace”, è presente sul territorio europeo da quasi quarant’anni. Si tratta di un progetto che prevede nel periodo estivo lì accoglienza di gruppi bambini al fine di dare loro l’opportunità di curarsi, avere un’alimentazione differente da quella costituita dai soli aiuti umanitari, piuttosto che di svago, piuttosto che dare loro la possibilità di raccontare la loro storia di popolo in esilio. Uno Stato parzialmente riconosciuto… I figli delle nuvole, così sono conosciuti i
saharawi. Quello dei saharawi è definito un conflitto a bassa intensità, tale da non avere visibilità, una delle tante guerre silenziose. Il Sahara Occidentale l’ultimo paese africano a non aver ancora ottenuto l’indipendenza formale e sostanziale. Lo status internazionale del Sahara Occidentale, per l’ONU, è quello di un territorio da “decolonizzare”.. Un popolo diviso da un muro, il muro della vergogna lungo più di 2700 KM, una muraglia fortificata, minata, elettrificata con a guardia carcerieri armati. <
Il muro più lungo dopo la muraglia cinese. Il popolo aggredito dal Marocco fu diviso sotto una pioggia di napalm, alcuni rimasero racchiusi nei territori occupati, altri fuggirono nel deserto di Tindouf, dove ancora oggi vivono. È il deserto più ostile alla vita umana, chiamato il deserto del diavolo. Questo è il paese dove lo scorrere del tempo fa troppo male e viene dimenticato, così,
vivendo il giorno, senza ieri né domani, si sopporta tutto, il caldo, il vento, il freddo, l’esilio.
Purtroppo il cessate il fuoco sancito nel 1991 è stato violato, proprio due anni fà e con esso anche l’arrivo della pandemia. Ancora guerra, ma di questa non se ne parla non colpisce direttamente interessi europei…o forse sì.
Hammedda al suo arrivo aveva le caratteristiche delle pubblicità ad effetto, tipo” Save the children”, hai presente? Dove si vedono bambini pallidi col pancione gonfio, scheletrici, caratteristiche tipiche della denutrizione, la malattia, un caso eccezionale il suo, per quel territorio dove è più facile, purtroppo, imbattersi in problematiche legate alla malnutrizione.
Accade sovente che alcuni bambini siano trattenuti per un periodo più lungo al fine di poter usufruire di cure mediche, interventi chirurgi o riabilitativi per poi essere riaccompagnati dalle proprie famiglie che sono li trepidanti ad attenderli. Ovviamente parliamo di famiglie che fanno un sacrificio enorme a lasciare per alcuni mesi i loro bambini. Spesso, questi ragazzi si accolgono in famiglia, diventano parte stessa della famiglia, però non ci si sostituisce alle figure genitoriali. Sai che stai facendo qualcosa per il bene del bambino, se vogliamo anche per la collettività, è un progetto sociale permeato da spirito di mutualismo e scambio e incontro di valori e culture. Hammedda sarebbe, infatti, dovuto rientrare in Africa. Ma, lui non solo aveva una condizione
psicofisica particolarmente grave, ma, purtroppo o per fortuna, anche una condizione socio- familiare sconfortante. La madre era morta. Il bambino pare sia stato affidato ad una nonna da suo padre e poi ad una zia. Forse era considerato un piccolo grande fardello in quel contesto così duro da vivere per chiunque.
Io e lui ci siamo in qualche modo scelti.
Era il 2010, lui all’epoca aveva 10 anni, presunti, ancora oggi non ho certezze sulla sua vera età, ma non importa, dicevo a 10 anni di età, dopo un lavoro di parziale recupero già fatto nei campi profughi pesava solo 10 kilogrammi.
AnnaLù e Hammedda: ci siamo scelti
Ci siamo scelti e la mia vita è cambiata, mi sono sottoposta ad un percorso burocratico sociale psicologico ed economico per essere ritenuta alla sua altezza … il mio principe! Mi piace pensare che la scelta del padre di defilarsi alle nostre sollecitazioni sia stato il modo per dare ad Hammedda una possibilità non solo di sopravvivenza ma appunto anche di rinascita. Ho bisogno di vederla così.
Un percorso, che appunto all’inizio doveva essere temporaneo … quindi, prima la curatela presso il Tribunale di Lecce , dove andava presentata richiesta per ogni intervento chirurgico, ho perso il conto degli interventi fatti, tutto monitorato dall’ Ex Comitato dei minori stranieri, dalla questura per il P.S., dall’associazione, dai servizi sociali, risate, dottori, medici, lacrime, fisioterapisti,
aspiratori per il muco in gola con il quale rischiava di soffocare, speranza, pannolini, notti a vegliare il suo sonno, cibo frullato, cattivi odori, tentativi di inserimento socio educativo, … no non è facile da rimettere insieme i pezzi della strada fatta insieme. Decisi di tornare a casa dei miei genitori ora non ero più sola a combattere contro il mondo, la malattia, la burocrazia. Arrivai con il mio bambino cadavere in braccio, che ha uno dei sorrisi più belli del mondo, e il mio cane Tobia.
Ricordo ancora la faccia di mio padre e di mia madre sulla porta di casa erano a bocca aperta, impressionati spaventati non sapevano cosa dire, ci accolsero. Ma non eravamo soli, la mia famiglia, i miei genitori, mio fratello erano con me a supportami e ad amarci. La tanta burocrazia, forse è ciò che mi ha più turbata, in libreria ho un reparto di faldoni di Hammedda, faldoni di carte,
cartelle, cartine, ministero, servizi sociali, Tribunali ordinario e minorile, gli ospedali, perché non si tratta solamente di accudire un malato, e tentare di dargli una possibilità, non si tratta solo di ricucire la propria vita, lui è giunto da migrante, uno straniero in terra straniera.
Abbiamo incontrato un sacco di persone, soprattutto di donne, lungo questo cammino con Hammedda che hanno fatto la differenza, nel bene e nel male. Ne abbiamo passate veramente tante. Hammedda è affetto tetraparesi spastica, non deambula, non parla, con una prognosi iniziale di ritardo mentale di tipo Nas, che significa non quantificabile.
Ad oggi è in grado di compiere piccoli passi sulle sue gambe, dopo innumerevoli interventi chirurgici e tossina botulinica e tanta, tanta fisioterapia, e un amore reciproco immenso.. . Adesso lui può deambulare, si chiama verticalizzazione con sostegno.
Hammedda quando è arrivato non emetteva suoni. Hammedda è conosciuto per la sua risata, per il suo sorriso. Lui comunica per lo più attraverso la gestualità e la mimica facciale. Questo mi ha insegnato a fare attenzione alle microespressioni facciali di molte persone, dovendo leggere il suo di volto mi ritrovo spesso a leggere anche quello degli altri. Dopo tanto lavoro logopedico abbiamo
anche potuto ascoltare la sua voce, i suoi suoni e anche flebili parole. Ma lui non è molto propenso a parlare ha trovato la sua dimensione e anche la sua difesa.In realtà lui comunica tanto, è un chiacchierone e in qualche modo quel non parlare è una forma di protezione che ha deciso di avere, quindi andare a stimolare in lui questo potenziale sopito potrebbe suscitare o tirar fuori dei fantasmi che nelle sue condizioni non sarebbe, probabilmente, in grado di gestire e sostenere, e come se
avesse rimosso alcuni suoi vissuti per proteggersi e con essi la parola.
Mia figlia Greta Maria, la sorellina di Hammedda, un vulcano di energia, lo stimola moltissimo. Noi viviamo tutti e tre insieme qui in questa casa, i miei cuccioli sono fratello e sorella a tutti gli effetti, un rapporto di amore odio il loro. Si difendono, si coalizzano o diventano, cane e gatto! E so che lei non lo lascerà mai. Hammedda ha un’intelligenza emotiva molto forte e sviluppata ma da un punto di vista cognitivo e come se fossimo di fronte ad un bambino di 4 anni.
Tra tanta burocrazia una speranza
Nel 2018 sono riuscita ad ottenere l’adozione di Hammedda, mi piace definirla come un’adozione da single, però di fatto si tratta di una cosiddetta adozione in casi speciali e il nostro è stato ritenuto un caso speciale. Oggi Hammedda porta il mio cognome ed è un cittadino italiano di origini Saharawi. Ho perso il conto di quanti interventi ha fatto alla bocca, aveva tutti i denti marci, e poi le
gambe e la riabilitazione, ossa, muscoli, emotrasfusioni ogni volta si doveva passare dal tribunale e di nuovo ricominciare con la trafila burocratica . Abbiamo incontrato sul nostro cammino tante persone, soprattutto donne che ci hanno sostenuto, ognuno nel suo ruolo, mantenendo comunque fede al proprio ambito, e riconoscendo il nostro cammino. Per un periodo, un lungo periodo ho
avuto la sensazione che io e lui e la sua sedia a rotelle camminassimo in equilibrio su un filo di una ragnatela, finché quei tentativi di mantenersi in equilibrio non divenuti una danza, non è stato facile gestire la malattia, la precarietà delle sue condizioni e doversi per giunta confrontare anche con individui che hanno tentato di approfittare della nostra situazione. Ogni persona incrociata sul nostro cammino è come se ci avesse dato un mattoncino per costruire una base più solida dove
continuiamo a camminare insieme. Hammedda chiamava mio padre, Apapà, non lo chiamava nonno. Loro erano una coppia
meravigliosa, uscivano il pomeriggio con il sole, sedia a rotelle e via a passeggiare. Il mio papà, con l’arrivo di Greta era conteso dai due fratelli, doveva fare la passeggiata verso il parco botanico o l’area giochi prima ad uno e poi all’altra, quindi usciva in missione super nonno prima con la sedia a rotelle e poi col passeggino. Eravamo felici.
Ormai vivevamo insieme, osservavo quel bambino, che mi sembrava cambiasse ogni giorno, alcuni medici mi spiegarono che effettivamente chi ha sofferto la denutrizione, se recuperato ha un’impennata nella crescita, era come se lui nel corso della notte recuperasse anni di vita, cambiava si trasformava. Ogni mattino era diverso dal giorno precedente, qualcosa di impressionante.
Hammedda, un giorno al suo risveglio mi guardò fisso negli occhi, considera che lui all’epoca aveva ancora gli occhi bucati, io li chiamo così, perché la fame gli aveva bruciato i denti, le unghie e gli occhi avevano dei buchi trasparenti come il formaggio svizzero, erano trasparenti, mi fissa, mi guardava ed esclamò: “Mamma”. Mollai definitivamente l’università, studiavo Conservazione dei beni culturali, con un’ottima media, questa scelta dopo un pò ha pesato non poco. Probabilmente oggi avrei fatto l’insegnante. Solo in seguito ho terminato gli studi in ambito giuridico, forse per tentare di chiudere un cerchio.
Oggi lavoro in ambito sociale da precaria.
Ho notato nell’arredamento, tanto ricco di arte, quadri con Guevara, Il quarto Stato, arte che ritrae
indiani d’America e immagini di Africa. Quindi possiamo dire che la vicinanza all’arte o alle culture
antiche in qualche maniera è stata canalizzata nell’apprendere da queste saggezze?
Io farei una sintesi, al di là di del valore prettamente politico di alcune immagini che vedi: direi Pachamama. Madre terra, sentire i ritmi naturali del tempo che scorre che sono diversi dal tempo che viviamo. Un tempo iper connesso, super veloce, tanto veloce, caratterizzato da un eccesso di comunicazione che paradossalmente crea incomunicabilità, dove le persone, secondo me, sono
talmente tanto appiccicate da non potersi vedere veramente. Bisognerebbe rallentare per quello che possiamo, seguire dei cicli apparentemente lenti, se fosse ancora possibile, che rispettino il corso naturale degli eventi o quello che ne resta. Perché là tu puoi guardare e vedere l’altro.
Hammedda era un “Altro” anche nella sua terra … lavorare con la disabilità ti insegna a rispettare altri ritmi altri cicli del tempo, guardare l’altro non per ciò che gli manca, ma per ciò che potrebbe diventare grazie a quello che ha. Lavorare, quindi, sul proprio potenziale sabotando meccanismi capitalistici che scalfiscono e soffocano. Io mi sento come se fossi una sorta di canale, per far sì che chi mi sta vicino trovi i mezzi per autodeterminarsi … Non sono particolarmente accudente, rispetto quella soglia oltre la quale non posso entrare e nello stesso tempo lo stimolo a essere non dipendente ma autodeterminante.
Gli arti superiori di Hammedda sono stati mantenuti in esercizio dalla attraverso la circolarità del tamburo, la musica per lui è vitale poi siamo passati alla batteria ma questa è una storia ancora più rumorosa.
Noi siamo una piccola rivoluzione, dove l’uno è rinato nell’altra e viceversa.
Quando anni fa ho conosciuto Hammedda, aveva scritto una poesia.
L’avevo scritta io, abbiamo messo su un raccontino che poi siamo andati a definire grazie all’aiuto di alcuni musicisti professionisti, quasi come una piccola performance. Il racconto del nostro viaggio, un po’ enfatizzato e breve ma un sacco di persone quando ci guardano e ci ascoltano si commuovono. Si chiama : “Ti racconto una storia” che si conclude con una poesia sulla quale lui suona il tamburello. Nella poesia conclusiva ho messo a confronto l’inizio e il prosieguo, un paragone tra la nostra terra e la sua terra di origine, in quella poesia io ci vedo la circolarità, la circolarità del tamburo, uno degli elementi di unione, dei popoli del Mediterraneo. Mentre io recito questa poesia lui suona il tamburo con il gruppo musicale di amici che gli fanno da spalla.
Guardando tutti questi anni io mi sento felice, so che abbiamo fatto un lavoro bello, tosto, impegnativo, siamo ancora in cammino, non ci siamo fermati. Non sei la prima persona che mi chiede di raccontare la nostra storia,non ti nego che ho molte difficoltà nel farlo. Oggi che siamo arrivati ad avere una solidità, una base, sì, oggi sento che è arrivato il momento di condividere
questo percorso di rinascita interiore ed esteriore, questo atto di amore rivoluzionario, incondizionato.
Quando Hammedda è in terapia riabilitativa e mi confronto con le altre mamme di bambini disabili, sento una sofferenza, un dolore, che non è facile da sopportare . Siamo in Italia, il welfare è carente, non ci sono servizi appropriati per una donna con bambini, figurati quando quei bambini hanno bisogni speciali, i caregiver non sono assolutamente considerati, non siamo riconosciuti e pure è un lavoro a tutti gli effetti.
Quando la mattina si svegliano e sono travolta dai sorrisi di questi due vedi gnomi, Greta e Hammedda, sono felice e consapevole di essere fortunata. A volte è come se mi smarrissi a guardarli so che c’è qualcosa di mio dentro loro, lì c’è anche mio papà e mia mamma. È quella particella di Dio che continua a crescere.
Questo è il messaggio che le prime insegnanti di Hammedda gli hanno per il suo compleanno nel
2015: “Un sorriso è un segno di amicizia, Un bene che non si può comprare, ma solo donare.
Se tu incontrerai chi un sorriso non ti sa dare donalo tu continua a riempire le nostre giornate con il tuo sorriso.
Insomma… te sta decia:
TE CUNTU NA STORIA
Te cuntu na storia
‘ne pe terra e ne ppe mmare me ttruai a quai.
Ieu suntu unu te li tanti e tante Mohamed..nu ‘nci criti?
Te sta decia…..
Rriai cu l’areriu ieu
e si … e mo cce bboi sempre na specie de bbarca ete
e me lassai alle spaddhre na terra. Tuce e mara.
La terra mia
A du le dune te sabbia suntu aute aute ,
ca qunnu lu sule le uarda pare ca suntu te oru, Montagne de Oru
e cangiane furma ogne fiata ca lu ientu le ‘ncarizza
e ncete lu mare, anzi l’oceanu. Ete ranne l’oceanu, mutu mutu ranne.
Cussi dicenu..
Ma quiddhru, l’oppressore nun bole propriu cu lu etimu
Te sta decia… te cuntu na storia
Rriai a sta terra ieu
Na terra te ientu, na terra te sule e na terra de mare
Uei sai na cosa?
Sta terra ete duce e mara. E puru quista ete terra mia
A quai tengu casa
A quai tengu radici. Radici te petra, comu l’anche mei,
chiantate intru alla terra russa, ca quannu lu sule la uarda
pare.. pare fatte de rubbiani
a quai ‘ncete alberi, ca parenu giganti, ca quannu lu ientu li ‘ncarizza pare ca ballanu
e a quai lu mare, Si! Lu puzzu uardare
e ci pozzu ssciucare e ci ‘ nnatare
te sta decia…
Vuei sai na cosa?
Te cuntu na storia
A quai su natu ieu
A quai su rinatu ieu.
Quista ete la storia mia
A mio figlio Hammedda Doria
Anna Lucia