I muri delle case, che si appoggiano gli uni agli altri per creare delle strutture con una precisa funzione, uniscono. Raccolgono, proteggono. Altri muri certamente separano, altri contengono l’acqua o la terra e altri ancora segnano un confine, un passaggio. Tutti sono stati costruiti dagli umani nel corso dei millenni, per consolidare civiltà sedentarie. I nomadi invece di muri non penso ne abbiano costruiti molti, perché sono scomodi da spostare. Ma nel percorrere gli stessi sentieri a volte è bello ritrovare un campo base che hai già abitato, una casa che ti fa sentire a casa. Un amico letto che già conosci. Un luogo dove sai che le tue radici sono ben custodite.
Mi chiedo come è potuto accadere che due viaggiatrici compulsive come Amanda ed io abbiano comperato insieme una grande casa del Seicento, fatta di sassi, in un paesino sperduto tra i Monti delle pre-alpi Lombarde? Eppure è accaduto, d’impulso. E non per necessità personali. In altre parole, chi ce l’ha fatto fare di imbarcarci in un restauro impegnativo e costoso, folle da ogni punto di vista. Insensato sul piano economico, impervio per due donne in perenne movimento sul Pianeta. Allora perché? Per salvare un pavimento in mattoni vecchi. Per vedere i Monti inquadrati dalle finestre, per conoscere la luce che entra, sempre diversa. Per realizzare una visione.
Perché vivere, sognare, affogare nelle lacrime, cadere nel baratro e uscirne, danzare nella luce, ridere a perdifiato con gli amici, crescere figli, sostenere compagni, smettere di voler cambiare i propri genitori, attraversare malattie, sciogliersi in sorrisi? Per me è chiaro: si vivere per amare. E io amo per poter vivere, senza amore mi trasformo in uno zombie.
Così eccolo il motivo primario che ha dato vita al Progetto Numero Zero: l’amore. Nelle sue tante declinazioni. Mi vien da pensare ad esempio alla fiducia come forma d’amore: quella che ritrovo nel Matto dei Tarocchi, che parte leggero, quasi senza motivo, per il semplice gusto di camminare all’avventura, una scoperta ad ogni passo.
Ma parliamo un attimo di Lei.
Il portone d’ingresso per ora si chiude con un catenaccio in ferro battuto e un lucchetto da due soldi. Ogni volta è un’impresa riuscire ad aprirlo, i battenti non sono a registro e occorre fare i movimenti in una precisa sequenza, e con calma per non farsi del male. Molto poco fengshui per una casa che vuole essere un punto d’incontro di liberi pensatori, un piccolo riferimento sociale per il borgo, un luogo dove condividere laboratori, vita, silenzio, sacralità, cultura, arte, gioco e tanta leggerezza. Già… un passo alla volta, mi dico. Per ora abbiamo messo a posto le stalle, un lavoro strutturale importantissimo, perché la casa è appoggiata sulla roccia, senza fondamenta, solidissima ma anche bella grande da tener sù. Il tetto è a posto, è stato rifatto vent’anni fa e par bene. Tutto il resto è da ripulire, consolidare. Bisogna ricavare i bagni, mettere gli impianti e gli infissi. L’altro giorno ho fatto un sopralluogo con il muratore e siamo stati due ore a girare per le stanze, a guardare ogni angolo per decidere quali lavori sono necessari per renderla abitabile. Da capogiro! E al tempo stesso entusiasmante avere la visone di come sarà.
Le case vanno conosciute. E’ come costruire una relazione d’amicizia, si fa un poco per volta, armonizzando i tempi. E ho tanta voglia di conoscerla sempre meglio, questa casa grande di Bisenzio, che vedo già accogliente, materna, solida e al tempo stesso slanciata sul profilo delle alte cime, quasi a toccare il cielo. Una casa nel cuore dei Monti.